L’arcobaleno di luci si avvia poco prima del crepuscolo nelle vie di Città Ho Chi Minh, la vecchia Sai Gon.
Come petardi silenziosi, una ad una le insegne s’accedono nel cielo ferrigno. Sfavillano… Sugli hotel che hanno segnato la storia della “sporca guerra”, sulla facciata dell’Equatorial luccicante di pioggia, sui negozi di lusso che si alternano alle botteghe artigiane nelle vie metropolitane, sui ritrovi da ballo e i lounge bar lungo il fiume Sai Gon. Luci stroboscopiche avvolgono lo Sheraton, nella celebre via Dong Khoi, dove scale mobili lustre come lingotti muovono una folla cosmopolita verso i paradisi dello shopping. Qui, le boutiques Dolce&Gabbana, Versace, Moschino insieme con le più prestigiose firme francesi e americane, non sono che la punta dell’iceberg. Salendo verso il top garden del grande centro commerciale, nondimeno, l’atmosfera diviene più rarefatta: il più accreditato regno del business ostenta gli uffici delle maggiori società presenti sul mercato, dove gli odierni manager – in gran parte donne “in carriera”- guadagnano cifre da capogiro. I nuovi dirigenti, si sono formati in Russia o in altri Paesi del vecchio “blocco socialista”; parlano varie lingue, hanno eccellenti competenze, talvolta sfrenate ambizioni ma conoscono a memoria la storia del partito comunista vietnamita e dell’internazionalismo proletario. Il saigonese affermato, al termine della giornata lavorativa, dopo un drink al “Golf-club Tu Duc”, per sciogliere lo stress, si scatena al ritmo della musica techno e hip-hop, magari allo Space Ship, dove una bottiglia di cognac Hennessy costa quasi duecento dollari e le ragazze ballano con gli occhiali da sole firmati e il cellulare in mano. Il businessman vietnamita di successo oggi può permettersi di acquistare “pronto-cassa” diamanti di grossa caratura e terreni il cui costo al metro quadro supera i tremila dollari; naturalmente guida un Toyota Camry rosa-argentato. Uno dei più frequentati bar della città, noto per essere il ritrovo dei “nuovi ricchi”, si chiama “G7”, in omaggio ai sette paesi più abbienti del pianeta; qui i differenti tipi di caffè offerti prendono il nome dalle vetture di lusso: Mercedes, Cadillac, Rolls Royce, BMW.
Non c’è di che stupirsi. La vecchia perla della Cocincina ha a lungo coltivato la sua vocazione economico-commerciale. Il marchio Mercedes da decenni troneggia sulla sponda destra del fiume e, dinnanzi al concessionario Mazda nella via Pasteur, uno slogan dichiara: Born to be successful! Dalla fine della guerra e per circa quindici anni, per le vie di Sai Gon non potevi udire altro che il monotono brusìo delle pedaliere arrugginite di biciclette e cyclo-pousse – i “risciò” vietnamiti… Oggi l’ambizione di ogni saigonese è fare fortuna e “E-Tow”, il nuovo rione del business cittadino, è divenuto una sorta di quartier generale per i giovani manager; lo si riconosce dagli ascensori cromati, gli uffici in legno e le parerti in vetro e acciaio. Business è la parola magica che ha rimpiazzato il tradizionale cappello conico, così come gli scooter hanno sostituito gli austeri cyclo. La commovente e romantica Sai Gon di Un americano tranquillo, sembra oramai dissolta: in Viet Nam, oltre la metà della popolazione ha meno di vent’anni e al ricordo della guerra e dello spirito di classe sembra preferire il display a colori dell’ultimo telefonino Samsung venduto al Diamond Plaza. La popolazione vietnamita è la più ottimista del mondo.
Sebbene nella parte settentrionale del Paese – dove Ha Noi, carismatica capitale, ha conservato la sua aura morale e una certa austerità -, nel complesso, il panorama sociale vietnamita potrebbe apparire essenzialmente edonista e assai distante dall’ideale socialista. Idealità e identità politica tuttavia non sono mai state rinnegate. Come ricorda in uno dei suoi celebri libri, il Premio Pulitzer Neil Sheehan, si deve considerare che già nel 1946, allo scopo di combattere i Francesi e conquistare l’indipendenza, Ho Chi Minh aveva proposto agli Americani di convertire il Viet Nam da teatro di guerra in “fertile terreno per i loro capitali e le loro imprese”. Nondimeno, gli Usa preferirono allora le bombe ai dollari. Ai nostri giorni, invece, sono i Vietnamiti a detenere imprese e capitali. I “padroni” sono loro.
Tuttavia, sbaglia quel cronista frettoloso che annota come “gli orfani dello zio Ho abbiano ormai abbracciato il credo dello zio Sam e delle tigri asiatiche”… Basta osservare il più recente trend musicale che si sta aggiudicando fans e records di vendite fra i giovanissimi: è il revival della cosiddetta musica rossa; i “figli della Vittoria”, fra pop, rock e karaoke, scelgono i vecchi canti di battaglia. La rivoluzione culturale del Viet Nam in ogni caso produce oggi nuovi agitatori carismatici e la movida saigonese ha le sue stars e i suoi leader in campo letterario e artistico; il rispetto per la cultura e la consapevolezza dell’importanza dell’istruzione in Viet Nam sono valori senza tempo, reputati un lusso necessario oggi come ieri, anche se ora, alle sei di mattina, lungo la vecchia strada coloniale n° 1, gli studenti, aspettando l’autobus, ripassano la lezione di inglese con un computer portatile al posto del quaderno in carta di riso.
di Sandra Scagliotti
per EDT Lonely Planet, 2012
Foto tratta da: Comequando.it